Capita sempre più
di rado, per noi che osserviamo ogni giorno composizioni d’arte, di provare
emozioni, stupore, o di conservare la memoria di un’immagine vista in
un’esposizione: la condizione stessa del nostro lavoro di critici ci costringe
a mantenere distacco e oggettività. Purtroppo, molto spesso l’arte
contemporanea è lo specchio del tempo in cui viviamo, dove il messaggio, anche
se criptico, gioca sul significante, abbandonando la lezione degli antichi, i
quali ben sapevano coniugare la sostanza espressiva alla realizzazione tecnica.
Come il nostro udito mal sopporta una musica dai timbri stridenti, così i
nostri occhi rigettano, in fondo, colori male assemblati sulla tela, la
tavolozza dal pigmento impuro, con i grigi o i bianchi tutt’altro che
asettici. L’arte
contemporanea ha ormai posto in secondo piano il segno a matita di contorno e il
disegno come narrazione compiuta in bianco e nero. Il lavoro lirico creativo e
la sua alta esecuzione tecnica sono invece gli elementi portanti del messaggio
figurale di Giuseppe Borrello. Egli, in questo tempo di avanguardie, di artisti
che rinunciano al bello, è da considerarsi, a mio avviso, una sorta di eretico. Alla negatività immanente
dell’uomo, che per molti maestri del segno e del colore è solo più
cancellazione, non rappresentabile se non con l’espressività informale, o
meglio, con la non-forma, Giuseppe Borrello sembra rispondere quasi con candore.
Da dove siamo partiti? Da dove ricomincia il dialogo, da tempo interrotto, con
la rappresentazione riconoscibile?. Ponendosi queste domande egli riprende il
tracciato dei maestri antichi, nel loro amore per la verità nell’uomo, nella
figura esaltata, nella bellezza naturale e spirituale (momenti, a volte,
irripetibili) coniugati insieme. Giuseppe Borrello,
prima di accingersi a creare dal supporto bianco della carta la figura umana
prescelta, ne cerca entro di sé l’anima comunicativa. Nel ritratto di bimba
del ’94, “Argenta” (fig.1), risaltato suadente della monocromia della
penna biro, egli esalta la vivacità luminosa degli occhi e il presagio di un
mondo futuro nel taglio della bocca, che funziona da centro focale di un volto
dolce e indifeso, dal candore infantile. Opera rara e inimmaginabile
nell’attuale panorama dell’arte contemporanea italiana, dove il mondo
infantile ha le stesse sembianza abbruttite del mondo degli adulti. Si può distinguere
il “bello” dal “brutto” nell’arte? E’ questa una domanda complessa
che E.H. Gombrich, il grande storico inglese d’arte, si è posto di fronte a
un’opera di Rubens di piccole dimensioni, a matita su carta, che raffigurava
la vecchia madre dal viso e dalle grosse mani “volgari” posate sul grembo.
La vecchia, appunto, non porge messaggi di bellezza e di candore come accade per
una figura giovanile. Può anzi inquietare, e mettere a disagio l’osservatore.
Ma se la figura anziana è ripresa da un’artista sensibile, il quale sa
cogliere l’anima, l’umanità provvisoria e nel contempo antica, ecco che
avviene il miracolo. E’ questo, a mio avviso, anche il caso di “Testa di
vecchio” (fig.2) eseguito in punta d’argento, del ’93 di Giuseppe
Borrello. Si tratta della straordinaria raffigurazione della maschera della
vecchiaia, dove la perduta bellezza del volto è stata sostituita da una serie
di lineamenti realisti che porgono la storia di un saggio ormai al tramonto. Giuseppe Borrello
è certamente l’erede di quella corrente artistica chiamata “Pittori della
realtà” che vide la luce in Italia alla fine degli anni ’50, e di cui
fecero parte Annigoni (fig.3), Sciltian, Antonio e Xavier Bueno. Come costoro
egli non trasfigura il reale, ma lo sublima nei particolari dove la bellezza si
sposa alla sacralità. Ne è ancora un esempio il disegno a penna-biro
monocromatico intitolato “La Greca” (fig.4). A volte, da oggettivo e pensoso si fa intimistico, affronta temi legati al paesaggio calabro o alle viuzze solitarie del suo paese nativo, come nel caso del lavoro espressivamente suggestivo dedicato a uno “Scorcio di Sant’Agata” (fig.5), opera del 1992, nata ancora una volta dalla grande abilità con cui egli sa affrontare la penna biro monocroma. Artista altrettanto
virtuoso è poi quando usa la punta metallica in argento, oro e palladio (si
veda in questo caso “Zio Castore” (fig.6) del ’94) o di solo oro-argento
(“Donna nuda seduta” del ’94) (fig.7). Questo artista calabrese,
mediterraneo, ma torinese d’adozione, supera culturalmente i suoi limiti
geografici, e si fa cittadino del mondo proprio nel momento in cui il suo
vissuto diventa puro specchio di una condizione esistenziale. Queste sue opere sono gioielli compositivi, frutti maturi di un paziente intrico di infinite linee parallele poste in diagonale, che egli sovrappone in un gioco magico di chiaroscuro. La sua carta la prepara con farina ossea e un collante particolare steso sul supporto (fig.8). Giuseppe Borrello segue in modo dotto l’antico intingolo di Leonardo e di Cellini. Conosce l’arte dell’esecuzione meticolosa, fatta di concentrazione interiore, e assolutamente antica e ancora nuovissima la sua tecnica d’uso della punta d’argento, o d’oro, o di platino e palladio. Sono disegni che nascono da tratti minutissimi, dove il platino funziona come un’autentica incisione su carta grazie alla morbidezza dell’insieme e alla monocromaticità pastosa ed elegante. La stessa monocromia si tinge di nero grazie alla trasmutazione alchemica dell’oro e del platino, mentre l’argento si muta in magma rossiccio. L’anima di
Giuseppe Borrello è rivolta alla lezione degli antichi. Le sue immagini non
potrebbero venire in luce così alla perfezione se egli non avesse assimilato
nella mente e nel cuore ciò che nel ’300 scriveva Cennino Cennini, che il
disegno deve essere posto a “fondamento dell’arte” prima ed insieme al
“colorire”. Giuseppe Borrello realizza ormai disegni compiuti come un quadro, la cui monocromia e gli sfumati sono già magnifica pittura.
Torino, 9 gennaio 2000 Paolo Levi
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Fig.1. G.Borrello - Argenta - 1994Fig.2. G.Borrello - Testa di vecchio - 1979Fig.3. P.Annigoni - Volto - sanguigna su cartaFIg.4. G.Borrello - La Greca - 1992Fig.5. G.Borrello - S.Agata, casa della Pupa - 1992Fig.6. G.Borrello - Zio Castore - 1994Fig.7. G.Borrello - Donna nuda seduta - 1994
Fig.8. Polvere di ossa di gallina.
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